Appendice

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Appendice letteraria - N. 19


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Appendice "letteraria"

N. 19

"Gualtiero Guarnera", gli occhi di Tinsa stretti stretti fissarono lo sguardo sereno di Camuri, mentre la sua bocca, pronunciato il motivo del suo interesse, si torceva appena in un sorrisetto lievemente ironico, a mo' di sfida. L'interlocutore, però, sembrava non essere stato toccato dalla sfida, in quanto sereno e indifferente era il suo sguardo prima e altrettanto sereno e indifferente si mostrava dopo aver ascoltato quel nome; soprattutto, Camuri rimase in silenzio. Il colonnello, impaziente di sapere, non resse a lungo l'attesa e ripart“ alla carica: "Il nome Gualtiero Guarnera le dice qualcosa?". Silenzio. Passarono due, forse tre minuti. Camuri aveva cristallizato il suo volto in forma di maschera serena e sorridente. Tinsa non capiva se il nome era stato compreso, se la sua domanda era stata intesa, soprattutto non si capacitava di cosa significasse quel lungo silenzio. Iniziò a pensare che il tipo che gli stava davanti non ne sapesse nulla del maestro di ballo e la stizza gli fece serrare le mascelle. In realtà Camuri stava pesando il valore commerciale della domanda dall'ansia palesata dal colonnello di ricevere la risposta. Più Tinsa si spazientiva, maggiore il costo dell'informazione. Infine, con noncuranza, Camuri pronunciò piano, in maniera confidenziale, cercando si ammorbidire la durezza dei modi del colonnello: "Guarnera chi?". Tinsa, che non si aspettava una domanda come risposta, ma notizie chiare e precise come avrebbe ottenuto da un subordinato cui fosse stata posta una domanda, sbottò: "Per tutti i diavoli, come Guarnera chi? Ma il maestro di ballo, no!". Il sorriso di Camuri voleva essere tranquillizzante, ma non riuscì nell'intento, anzi risultò provocatorio. Tinsa non si trattenne, si sollevò dalla sedia, si sporse con tutto il busto sul tavolo avvicinando il volto a quello di Camuri e sibilò: "Gualtiero Guarnera, maestro di ballo, lei lo sa chi è, da dove viene, cosa ha mai fatto nella vita?". Camuri cap“ che quell'informazione era davvero preziosa e divenuto d'improvviso serio, mercanteggiò: "Diciamo duecento lire?". La proposta rasserenò il colonnello, in quanto segnava l'inizio della risoluzione del suo principale problema. Rilanciò: "Cinquanta lire e in più le spiego perché la contessa Vannelli si serve dal sarto Matteo Borghi". Il volto di Camuri si accese. Tinsa non scherzava mai. Le sue notizie erano sempre scarne e precise come dispacci militari e la contessa Vannelli era per lui un foglio pressocché bianco, ancora da riempire. Allungò la mano verso il colonnello, sancendo l'accordo con una stretta forte, quindi iniziò: " Guarnera è un nome forestiero, nella nostra città non se ne trova uno, di certo proviene dal mezzogiorno, forse dalla Sicilia; negli annuari dell'arte degli ultimi anni questo nome non si trova, di certo contratti nei teatri delle nostre zone non ne ha firmati". Camuri si fermò, lo sguardo assorto alla ricerca di qualcosa che sembrava nascondersi nei meandri della memoria. Tinsa lo fissava, il sopracciglio destro sollevato, in forma interrogativa, come ad esprimere il dubbio che lo si volesse coglionare. Intanto quel qualcosa, il puntino nero e microscopico che schizzava a scatti come una molecola impazzita nell'ordine schematico della sua memoria, quel qualcosa iniziò a gonfiarsi, delinearsi e infine si materializzò in un'immagine nitida. Camuri alzò lo sguardo verso Tinsa, il volto cereo, la bocca semiaperta. Si sollevò in fretta dalla sedia, allungò la mano e farfugliò: "Mi scusi colonnello, è tardi, devo andare". Tinsa gli strinse la mano, ma non per salutarlo, quanto piuttosto per trattenerlo. La sua presa forte bloccò Camuri, che rimase con la testa bassa, gli occhi al pavimento. Tinsa era incredulo. Che fantasma custodiva quell'archivio vivente? Quale terribile notizia era affiorata nella sua memoria? Ma chi diavolo era in fin dei conti questo maestro di ballo? "La prego, insistette Camuri, cercando di divincolarsi dalla presa del colonnello, mi lasci andare. Non ne facciamo niente. Lasciamo perdere. Purtroppo non so nulla di quest'uomo. Non posso aiutarla." Tinsa, giocando l'ultima carta: "E della contessa Vannelli, non vuole sapere?". "Grazie, grazie", si divincolò Camuri "ma devo proprio andare" e a grandi passi veloci si diresse verso la porta. Qui si fermò e volse lo sguardo verso il colonnello che ancora l'osservava sbalordito. Gli occhi dei due uomini s'incontrarono per una frazione di tempo sufficiente a versare la pena di Camuri nell'incredulità di Tinsa. Quindi, l'uno quasi fuggì dal Caffè e l'altro rimase, accasciato sulla sedia a fissare il bicchiere mezzo pieno di limonata, abbandonato sul tavolo.


Ultimo aggiornamento: febbraio 2004