Appendice

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Appendice letteraria - N. 12


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Appendice "letteraria"

N. 12

Accadeva che, mentre il colonnello Tinsa leggeva, il poeta Alcamo sognava, il maestro Ghedini rifletteva, il marchese Zoboli gioiva e tutti intorno a loro fantasticavano, congetturavano, discutevano; accadeva che un uomo passo dopo passo misurava la strada che da Castelfranco conduceva in città. Giunto la mattina da Bologna, aveva lasciato il bagaglio sulla carrozza, dando incarico al cocchiere di consegnarlo alla famiglia Tusini in Canal stretto, presso la quale aveva preso in affitto una stanza, e si era avviato a piedi lungo la dritta e polverosa strada maestra. Non la distanza, meno di una decina di miglia; non il tempo, sereno e fresco come solo la padania settembrina sa dare; ma per il Biscia, il cocchiere aveva sconsigliato vivamente a quel signore di lasciare la carrozza e proseguire, solitario, a piedi. Si diceva, alla stazione della Posta, che quella belva di uomo fosse stato visto proprio in quei giorni aggirarsi per i boschi a sud della città. Per quanto il chiacchiericcio che nutriva la leggenda popolare avesse ormai trasfigurato un piccolo bandito in una belva sanguinaria responsabile di ogni misfatto accadesse in provincia, in verità, suggeriva il cocchiere, trovarselo di faccia a faccia, per le campagne, non avrebbe fatto piacere a nessuno. Il viaggiatore aveva sorriso a tanta apprensione, portando istintivamente la mano alla pistola che custodiva nella tasca interna della giacca; ringraziò cortesemente e si avviò. Era Gualtiero Guarnera, siciliano, di professione Maestro di Ballo. Chi l'avesse osservato con cura non avrebbe potuto con facilità arguire di quell'uomo il mestiere. Non alto né basso, chiaro e pulito il volto, le mani non segnate dalla fatica del lavoro, indossava abiti di fattura modesta, che nel verde del velluto richiamavano il colore degli occhi e nel lucido nero degli stivali il colore dei capelli. Non vestiva come voleva la moda e il tempo, ma in maniera sobria, proprio l'opposto di come usavano fare gli artisti suoi colleghi, che ogni qual volta apparivano in società, sembravano saltar fuori da una collezione di modellini da sartoria. Lui amava passare inosservato per potere osservare, a differenza degli artisti del ballo che di tutto facevano per essere osservati senza curarsi di sapere guardare attorno. No, la sua apparenza non lasciava intendere l'appartenenza alla grande famiglia degli artisti del ballo e della scena, eppure un occhio attento ad osservare fattezze, gesti e movimenti, avrebbe notato la sua perfetta andatura. Quel modo unico di incedere che comunica l'impressione che il corpo non abbia peso. La sensazione di leggerezza dovuta all'abilità di distribuire in maniera perfetta su tutto l'arco del piede, la caviglia, il ginocchio, il bacino e la schiena lo sforzo del movimento, la sfida alla gravità. Se ne andava così, quella mattina di settembre, Gualtiero Guarnera lungo la strada che lo conduceva verso il suo prossimo destino. Aveva deciso di continuare a piedi il viaggio perché sentiva il bisogno di allontanare da sé il momento dell'arrivo. Dilatare il tempo del viaggio, in quanto percepiva una sensazione di confusione, come se le motivazioni stesse dell'agire non gli fossero più ben chiare. Avvicinandosi alla meta, le idee tutte avevano iniziato un moto circolatorio vertiginoso, che accelerava con l'avvicinarsi il momento dell'arrivo. Allora si era persuaso che il tempo e lo spazio dovevano ritrovare l'armonia col suo pensiero e il procedere a piedi era il modo più consono a riequilibrare il ritmo del pensiero col pulsare del corpo. Non aveva misurato ancora dieci passi che il gorgoglio confuso e ribollente della sua attività cerebrale partorì una domanda: Perché?


Ultimo aggiornamento: ottobre 2003