N. 14
Perché faceva quel mestiere? La risposta l'aveva pronta, lì a portata di mano, perché tante volte si era posto quella domanda. Era una risposta onesta e serena. Provava piacere al pensiero che tanta gente pagasse il prezzo di un biglietto per poter entrare in teatro e ammirare le sue azioni. Ne provava ancora di più nel momento dell'esibizione, quando percepiva di essere al centro dell'attenzione. Aveva riflettuto a lungo, negli anni, su cosa fosse quel piacevole sentimento dčesaltazione che lo invadeva durante il tempo dello spettacolo, uno stato d'animo che si rinnovava ogni sera di rappresentazione. Non era stato semplice riuscire a comprendere le modalità, le ragioni del suo sentire. Soprattutto nei primi anni dellčadolescenza. Allora il giovane Gualtiero faceva il suo ingresso in scena perché così voleva il padre ed i modi e i tempi li decideva il suo genitore. Ciò che lo esaltava era la realizzazione del compito affidatogli dal padre. La felicità lo avvolgeva quando gli spettatori mostravano apprezzamento e il padre annuiva soddisfatto a significare che il compito era stato svolto al meglio. Ormai esperto ballerino, neanche ventenne, Gualtiero aveva compreso che il piacere che provava nellčesibirsi ed essere osservato era qualcosa di più complesso e non risiedeva esclusivamente nel tempo dello spettacolo e nel luogo della scena. Il piacere era un frutto che maturava lentamente, durante le sue esercitazioni individuali davanti allo specchio, nei giorni delle prove con il corpo di ballo, nei pomeriggi trascorsi con la compagna di danza a ripetere infinite volte un pas de deux. Poi l'arrivo in teatro, la preparazione lenta e meticolosa, il trucco, il costume, il controllo e la pulizia, maniacale, delle scarpette. Lčodore della polvere del legno, che s'incontrava senza sovrapporsi, mantenendosi ben distinto, dall'acre delle tele dipinte, dal profumo delle candele che illuminavano i corridoi. Il momento dell'esibizione era il culmine di un processo di lenta alterazione dello stato emotivo naturale, quello della vita sociale d'ogni giorno, che si protendeva verso la trasformazione artistica di un uomo in ballerino. Allora, in scena Gualtiero godeva di quella sua vita nuova, che lo spettatore osservava ammirato, sancendone col proprio sguardo l'esistenza. Gioiva nel mostrarsi perfetto, incarnazione di un'idea; si esaltava nel rendere agli spettatori l'oggetto levigato, attraente, affascinante generato dal ruvido, tormentato, faticoso percorso di preparazione. Perché faceva quel mestiere? Per denaro, per sentire nella sua mano il peso delle monete che l'impresario vi poneva il giorno di paga. Usava allora effettuare il pagamento in quartali. Un quarto all'inizio delle prove, un quarto alla seconda replica, un quarto a metà stagione e il saldo dopo l'ultimo spettacolo. Il padre aveva spiegato presto a Gualtiero quanto fosse importante per loro presentarsi agli impresari come "famiglia" di ballerini. Alla stesura del contratto sarebbe stato il capo famiglia a garantire, firmando uno per tutti, per la prestazione d'opera della moglie e dei figli. Gli impresari preferivano scritturare le "famiglie", piuttosto che i singoli, almeno per due motivi. Il primo, perché la famiglia era un'unità soggetta al volere del capo famiglia ed il controllo e il comportamento generale erano maggiormente assicurati. Il secondo, perché scritturando una famiglia l'impresario risparmiava, in quanto il salario stabilito era forfettario e minore della somma di più scritture separate. Per questi motivi Gualtiero, fino allčetà di sedici anni, lavorò quasi tutte le sere dell'anno senza vedere mai un soldo. L'impresario versava i quartali al capo famiglia che assolveva le necessità primarie: l'affitto dell'alloggio, la tavola, il vestiario, i viaggi. Il salario volava via senza che nelle tasche di Gualtiero ne rimanesse traccia. Il denaro lui lo vedeva soltanto, spiando da dietro le spalle, passare dalla mano dell'impresario a quella del padre, ma iniziava, crescendo, a desiderarlo più dčogni altra cosa al mondo. L'idea di poterne ottenere tanto quanto ne vedeva versare ai "Primi ballerini assoluti di rango francese", ruolo primario nella compagnia, o addirittura tanto quanto si leggeva nei giornali che fosse pagato alle stelle di fama mondiale; quest'idea, l'idea dei soldi, lo spingeva a studiare e perfezionarsi, lo incitava nei momenti di stanchezza a non fermarsi a continuare, insistere, perseverare. Quando, una mattina di settembre, aveva compiuto appena sedici anni, l'impresario che aveva convocato la sua famiglia a Bologna per firmare il contratto per la stagione di carnevale, lo guardò fissò negli occhi e gli comunicò che quell'anno lui avrebbe danzato da "Primo ballerino fuori dai concerti", che significava ricevere una paga pari a quella forfettaria che ricevevano i genitori. Allora capì, nella confusione dei sentimenti gioiosi, che aveva davvero inizio il suo cammino nell'arte. Da quel giorno avrebbe ricevuto, al quartale, anche lui in mano i denari dall'impresario; quella mano che si protendeva verso gli artisti guidata da un terribile sguardo serio che comunicava un solo significato: io ti pago e tu lavori per me. Da quel giorno iniziò a misurare lo sviluppo della sua carriera col peso del denaro che gli porgeva l'impresario. Perché faceva quel mestiere? Per la famiglia, per il denaro, per la gioia creativa, per il piacere dell'esibizione e così ragionando se ne andava intanto con passo celere e misurato, assorto tanto nei suoi pensieri da non curarsi della campagna che si lasciava intorno, delle macchie boschive, dei canali e tutto guardava senza nulla vedere. I colori tenui dell'autunno, gli odori forti della terra umida, il canto incrociato di uccelli e uccellini lo avvolgevano, generando intorno alla sua persona come un'aura fantastica, nella quale la sospensione del tempo reale permetteva una vita intensa al pensiero riflessivo. Non si era quindi accorto che nel suo incedere si stava avvicinando ad un uomo che procedeva anch'egli nella medesima strada, lungo la stessa direzione, ma molto più lentamente, così che Guarnera gli si apprestava ad ogni passo.